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L’aggregazione societaria di Acel Service in una prospettiva di rafforzamento e sviluppo

Ho visto il comunicato stampa di Lario Reti Holding che informa della sottoscrizione di una lettera di intenti con ACSM-AGAM, ASPEM, AEVV ed A2A per una possibile aggregazione societaria con Acel Service.
Finalmente una strategia di prospettiva.
Qualche mese fa è stato presentato un progetto di aggregazione societaria ai Comuni azionisti di LRH non ancora discusso nella maggioranza degli organismi degli stessi.
Perché aspettare? I Comuni fanno perdere tempo e, in fondo, sono solo azionisti di LRH e non di Acel Service. Non hanno alcuna voce in capitolo.
Gli amministratori, non eletti dai cittadini ma nominati secondo logiche puramente politiche e, magari, anche clientelari, possono procedere ad operazioni straordinarie anche senza il parere favorevole degli azionisti. Alla eventuale assemblea di fusione di Acel Service con le società indicate non parteciperanno i Sindaci dei Comuni ma il legale rappresentante di LRH, cioè il Dott. Lellio Cavallier, o suo delegato cioè il Dott. Marco Canzi.
Si saranno confrontati, non c’è dubbio, con la segreteria del PD e con qualche Sindaco o politico, insomma, una cosa per pochi intimi.
Bisogna comprendere che aspettare il parere degli 88 Consigli Comunali avrebbe comportato perdita di tempo e, forse, anche ostacolato il progetto.
Suvvia, non scherziamo, non si può sempre sottostare alle regole democratiche. L’eccesso di Democrazia fa male all’economia! L’ha detto J.P.Morgan ma l’ha ricordato anche Matteo Renzi con il suo tentativo maldestro, e non riuscito, di riforma antidemocratica bocciata dagli Italiani il 4 di dicembre scorso.
Che noia, però, sempre le solite questioni. Stare dalla parte dei cittadini e, in particolare, di quelli più deboli è veramente un atteggiamento desueto e demodé.
C’è un mercato in contrazione, una pressione competitiva in aumento, una pressione regolatoria con riduzione dei margini, una crescente competizione commerciale, una necessità di efficienze operative legate alla scala. Sono le ragioni contenute nella proposta di A2A che giustificavano l’acquisizione della maggioranza di Linea Gruppo Holding nel 2016 e che oggi ANAC, che fastidiosa questa Autorità che censura tutto, ha detto non essere regolari.
Per chi non ha capito, l’operazione è sostanzialmente guidata da A2A nella logica di allargamento della sua sfera di competenza, forse di occupazione, a tutta la Lombardia. Potrebbe anche essere che nei futuri progetti rientri anche Silea visto l’interesse di A2A per gli impianti di teleriscaldamento.
Ringraziamo questi attenti amministratori che si preoccupano della salvaguardia del patrimonio pubblico, quindi della collettività. Che cosa è più garante dell’entrare a far parte della galassia di una società quotata che dispone di grossi mezzi economici e finanziari. L’aggregazione è un’operazione di prospettiva che dà sicurezza. Sarà vero?
A2A è una società quotata con una grossa capitalizzazione di borsa che si è, però, dimezzata dal 2008 al 2016. A2A è una società che ha perso circa il 40% del suo patrimonio, sempre dal 2008 al 2015, pari a circa 1,4miliardi di euro. Perdere, purtroppo, in questi periodi di difficoltà dei mercati, quelli richiamati in precedenza, può succedere. Una politica di aggregazione e di ottimizzazione dei costi è una strategia di respiro che può permettere di affrontare queste difficoltà.
Se, però, la perdita di circa 1,4miliardi di euro è causata dall’aver distribuito dividendi ai soci in misura superiore agli utili conseguiti, la questione è un’altra. Dal 2008 al 2016 A2A ha realizzato 421milioni di euro di utili ma ha distribuito 1,705 miliardi di euro di dividendi. Non sono mie opinioni, sono dati della stessa A2A trovati sul suo sito web.
Sarò anche uno che non capisce le modernità e il ruolo dell’economia e della finanza ma credo che nemmeno ai cittadini e a un Paese che diventa sempre più povero interessino.
Credo sia sbagliato cedere parte di una società radicata sul territorio che produce ottimi, troppo, risultati economici, ad una società partecipata in maggioranza dai Comuni di Milano e Brescia (che si sono divisi oltre la metà di quei 1,705 miliardi di euro) e, magari, ricevendone in cambio azioni.
In una galassia di 34 società ci sono 34 consigli di amministrazione e altrettanti collegi sindacali ma, ai lecchesi, questo poco importa.

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